de Il Vostro
Beati i miti perché erediteranno la terra, riportava Marco, cinque punto cinque; e i miti siamo noi partite iva, e l’evangelista riportava con quella che a posteriori pare leggerezza, o naiveté insopportabile: che a' tempi del redentore non v'èran F24 da compilare; non c'era l'iva a tentarti con la sua presenza bancaria cospicua, e spendibile, dalle petrosità deserteggianti del tuo conto - con lingua bifida di serpente, curve sinuose di donna, scontrino facile: per poi esser reclamata con timing spietato dal meccanismo delle cose fiscale; e soprattutto non c'era un ente previdenziale decadente che ogni fine di novembre si materializzava a tocchicchiarti nelle tasche con i suoi orifizi chitinosi di sanguisuga, per svellerti un terrificante anticipo - processo orrido sempre, questo: ma soprattutto orrido alla fine del tuo primo anno di partita iva: e dal di fuori non si può capire, no, lo strazio; e l'allegoria sei tu che con il certificato d'attribuzione di p.i. fresco di emissione, le marche da bollo ancora odorose di tabaccheria - con questo certificato dentro una cartellina con l’elastico tenuta sottobraccio, in allegoria tu corri saltabeccando attraverso una libertà di prati verdi dall'erba folta e fiori, fiori variati e coloratissimi: come in quella foto di bambina di sei otto anni che corre in un prato dall'erba folta e fiori, fiori variati e coloratissimi - e la bambina nello scatto ha una gamba sollevata e qualche buontempone dell'internet ha sovraimposto alla foto la scritta FOTTETEVI, FIORI: cosa si prova a essere calciati in faccia?, che fa riderissimo, ma in-qualche-modo anche rende bene un certo impromptu d’umore. E insomma l'allegoria sei tu lì che corri di questa libertà lavorativa il tuo primo anno di partita iva, e ogni giorno è una sorpresa mirifica e golosa: e un giorno puoi stabilire delle tariffe, e il giorno dopo ti stai ingolfando in una trattoria a menu fisso per operai, ché puoi far fattura; e i giorni seguenti starai comprando beni strumentali e i giorni seguenti ancora durante i semafori rossi più lunghi compilerai in maniera creativa la carta carburante. Poi d'improvviso è il trenta undici, e l'ente previdenziale decadente e l'anticipo di fine novembre hanno su di te l'impatto di una motta fangosa che si apre nel prato verde dall'erba folta e dai fiori eccetera, e dentro la motta c'è un segugio feroce magro stecchito e dai tratti demoniaci che sta montando da tergo tua madre, e a lei piace; e l'aria è satura di un vecchio successo dei Right Said Fred; e lo shock è quasi definitivo.
Abbiamo una piccola fetta tutta nostra di crisi, noi partite iva: e, neanche tanto in fondo, è nostra anche le colpa - di noi, i miti che avremo a ereditàr la terra.
È colpa nostra, sì: perché abbiamo accettato, accettiamo, ritardi e dilazioni e frazionamenti di pagamenti: perché pratichiamo sconti e forfait e non accreditiamo per scrupolo spese vive e cancelleria e telefono; colpa nostra!, perché abbiamo emesso ed emettiamo fatture a comando: aspettando, attendendo, chiedendo timidi Posso farti quella fattura allora?; e di quelle che ci vengono poi pagate a trenta, sessanta, novanta, centoventi, trecentosessanta giorni - forse - intanto sopportiamo di cacciar fuori l'iva comunque: e, nel frattempo, le privazioni.
E pensare che sarebbe bastato, e basterebbe - ma è più difficile anche solo concepirlo, ora – un blando farsi valere; lo smetter d'erogare servizi; un leggero, monosillabico No bén piazzato; il ricorso alle forme avvocatizie della ricerca d'attenzione - la telefonata, la lettera - od anche il bypassarle, queste forme, e il cominciare a frequentare citofoni e portoni-di-casa, saldamente in mano un badile od una chiave inglese: a seconda di conformità a professione, o canone estetico preferito.
Ma siamo miti, siamo buoni, siamo umili e siamo anche d'una modestia generosa e sorridente e - dio abbici in pietà - riconoscente: contenta, infatti, un lavoro d'averlo.
Così ci si fa credere: ma le fondamenta, di questo piccolo settore di crisi, son tutte opera nostra.
Che fallimento. Eppure erediteremo la terra, si dice.
[ma poi, a voler fare i preziosi - o gli schizzinosi?, o i realisti? – con un pensiero laterale, di minor’importanza: davvero vorremo ereditare - noi miti, noi umili, noi partite iva - la terra, così com'è ora? Davvero ci accontenteremo per la nostra spremitura - tra macine non lubrificate, a perdere contro le nostre carni frammentini aguzzi di arenaria - di questo premio? Davvero tutto questo ci darà il solo diritto d’ereditare 'sto geoide stanco, zozzo, depleto, i cui colori sono lo spettro iridescente e metallico dell'inquinamento da derivati del petrolio? E non è che invece anche noi vorremo - o vogliamo? - in qualche modo fruire della ricchezza, della complessità, e d'un alternarsi delle stagioni sano e concettualmente giustificante, di quando lo sfruttamento era appena a iniziare – noi: esclusi; noi con l’inganno e con l’autoinganno eravamo nella nostra cameretta a consumarci tentando di far levitare IL CONTO ORE, infido Strumento di Sottomissione della nostra condizione?; perché anche noi, in fine, vogliamo il nostro fair share di biodiversità: ma di quella biodiversità da manuale, esuberante e lussuriosa e roscida e instancabile da foresta pluviale; e vogliamo ereditare qualcosa di completo: qualcosa di pulito sulla cui superficie ancora scorazzino goffi i dodi; e tantissime tigri dai denti a sciabola pòpolino le taighe degli incubi di chi ancora ci deve i schei che ci siamo sudati più di tre mesi fa.]
Così; per uscire dalla crisi almeno con la testa, allora, mentre scrivo queste note - così come quando comunico la notte con l'Agenzia-delle-entrate, attraverso il suo peculiare software online - ascolto un pacificante disco del duemilaecinque che si chiama Macchina Dalla-Testa-Di-Badile Che Uccide; e penso con intensità ai miei debitori, non-forte ohimè di strumenti di riscossione che sarebbero funzionali ed economici ma che, per ora, sono considerati illeciti.
Per ora, però.
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