martedì 30 novembre 2010

Suona il telefono

di Don Vito Caputo

-Sì?
-Puoi venire qui un momento, non riesco a risolvere una questione. – mi chiede il dott. Licalzi.
Lascio la mia collega al telefono che racconta di suo figlio ad un ispettore di polizia.
Due porte e sono nell’ufficio del dott. Licalzi.
-Eccomi. Di cosa hai bisogno?
-Ah, salvatore della patria! Vieni dentro, respira il profumo di Intelligenza!
Coglione.
-In quest’ufficio si lavora di concetto, si crea e si distrugge. Gli indirizzi, le strategie... tutto nasce qui. Annusa, non ti senti già più intelligente?
-Sì, infatti mi era parso. Di cosa hai bisogno?
-Eh, sto scrivendo un provvedimento. Alta legislazione. Sto maneggiando tante di quelle materie diverse... Se mancassi anche solo un giorno tutta questa enorme macchina sarebbe priva di direzione. Nessuno domina tutte queste materie insieme. Voi, di là, fate lavori di routine, più terra terra... Non prenderla nel modo sbagliato se dico questo, ma sai, qui si fanno lavori di alto profilo. Maneggio milioni come noccioline.
-Aha. Quindi. Di. Cosa. Hai. Bisogno.
-Ah, sì, giusto. Le vedi le prime quattro righe al computer?
-Quelle in maiuscolo?
-Esatto. C’è un modo farle diventare minuscole senza riscrivere tutto?

Quasi le 11

di Don Vito Caputo

Alle 11.05 in tutte le scuole c’è la merenda.
Io però lavoro in ufficio. Spulcio compravendite avvenute settant’anni fa.
La mia collega batte al computer e mi parla di suo figlio. Non sono sicuro che parli veramente a me.
Suona il telefono.
-Ehi, vieni qui, c’è una verifica urgente da fare!
Venti metri ed entro nell’ufficio tecnico.
Chiudo la porta. Il geom. Finozzi stappa una bottiglia di prosecco.
-Toh, verifica se è fresco abbastanza. – mi dice il geom. Zarra mettendomi in mano un bicchiere.
-Il capo?
-È via.
-Il mega capo?
-Via anche lui.
-La mortazza?
-In frigo.
Giornata finita.

venerdì 26 novembre 2010

Opera e disonestà intellettuale spiccia del Re Censore

I requisiti per scrivere una buona recensione musicale
di Austino Attizzo


Una recensione musicale la si scrive prima di tutto senza necessariamente avere ascoltato bene il disco che si desidera recensire. A dire il vero non è necessario neppure averlo ascoltato tutto. Ma ancora più importante è tenere bene a mente che non è necessario essere esperti di musica, in quanto non sempre chi scrive belle recensioni  ha ascoltato un numero statisticamente significativo di dischi. Ma ancora di meno è necessario che il recensore detenga il sacro lanternino del buon gusto. Cioè, non intendo dire che chiunque desideri scrivere una recensione lo possa fare. Questo no. Infatti, per farlo occorre avere pur sempre alcuni requisiti. Imprescindibili, indiscutibili, indispensabili, irrinunciabili requisiti che testimoniano la capacità di suscitare il giusto grado di coinvolgimento durante la lettura della recensione. Questo perché generalmente tutte le recensioni musicali sono affollate degli stessi termini così come delle stesse espressioni, come ad esempio: album, traccia, storia recente, suono, ripetuti all’infinito,  intensità adolescenziale, fondamentale, amore dichiarato, eccetera eccetera. Il rischio per chi non detiene la giusta dose di “requisiti empatici” (diciamo così) è quello di affollare la propria recensione di cose prevedibili che poi finiscono per allontanare qualsiasi flusso abbordabile di lettori. Ma il requisito più importante è certamente quello di dare l’impressione che dietro una bella recensione musicale ci sia un autore grandissimamente e vanagloriosissimamente stronzo. Mi spiego meglio: se a scrivere una recensione sui The Jim Jones Revue, ad esempio, è un qualsiasi pappamolla preso a prestito dalle letture di Safran Foer, presto ogni degradante fluido incandescente emanato dalla musica dei The Jim Jones Revue perderà energia e tutta la sua forza dirompente. Dalla lettura della recensione devono trapelare umori e vibrazioni. La recensione deve per lo meno cercare di riprodurre in scala 1:1000000 le vibrazioni emanate dalla musica, altrimenti che senso avrebbe una recensione musicale? Occorre che l’autore di recensioni si senta parte in causa della musica, fino anche a immedesimarsi nella rock star di cui egli stesso scrive (considerando che è pressoché accertato che dietro ogni critico operante entro i confini di qualsiasi disciplina si nasconde un artista fallito in cerca di conquistarsi una piccola fetta di notorietà). Ah, e poiché la musica è frutto di uno sforzo anche seppure solo tecnico, è giusto pure che altrettanto sforzo ci debbano mettere coloro che così grande responsabilità hanno nella sua diffusione. Altrettanto importante è saper parlar male di un cattivo prodotto. Se non si è in grado di andarci giù di brutto è meglio neppure provarci, in quanto il confine tra l’esito drammatico di ogni singola nostra affermazione è sempre regolato dalla nostra capacità di evitare in ogni istante di cadere nel ridicolo. Quindi è bene essere dotati di quest’altro necessario requisito che consente di sostenere la propria opinione col giusto grado di coerenza e di faccia tosta nonostante l’evidenza contraria dei fatti.

mercoledì 24 novembre 2010

Apposta sulle poste - Step 3

di Lopizia Starna

È proprio autunno dissero.
È proprio autunno dissi.
È proprio autunno convenimmo.
Piovea d’un grigio così, che a bagnarsi il capo c’era da brizzolarsi. E fu in quel convenire ed impregnarsi d’acqua che iniziò la mia giornata.
Il resto fu assai peggiore.
Domenica 31 ottobre. Secondo giorno di fiera. Suonano le sveglie ad intervalli regolari dalle 6.30 alle 7.00. Dopo una lauta colazione comprendente una tazza di caffè e un’altra tazza di caffè, esco nel fetido mondo mattutino che mai mi arride. MAI. Perché lo avverso e non ne condivido le fulgide promesse. Piove. Ai cancelli, chiusi, una coda di auto e furgoni inferociti che sputano cattivissimi contro i cancelli. Chiusi. Perché chiusi?
Urgono coordinamenti con i miei soci lavoranti. Prendo il telefono. Pigio il tasto.
"Postemobile, l’operazione da lei richiesta non può essere effettuata. Credito insufficiente."
"Prego?"

lunedì 22 novembre 2010

MicroCarver - 1

di Dante Cruciani

Neve
- Nevica, disse lui.
Proprio in quell'istante il bambino si mise a piangere e un piccione, instupidito dal freddo, colpì la finestra della veranda.
Lei lo guardò, come fosse stata colpa sua.

Trattori
Il fratello di mio padre aveva un'officina. A quel tempo riparava soprattutto trattori. Aveva perso due dita in non so quale incidente. Di notte non riusciva a dormire perché, diceva, sognava l'odore del grasso. Sua moglie faceva le parole crociate.

Vuoi dirmi che hai ancora fame?
Quel giorno il fratello di Francesco partì per andare a pescare trote e non si fece vedere per cinque anni. Sua madre smise di parlare, e il cane morì. Quando tornò disse solo: Ho fame. In quel momento Francesco capì tutto.

Ho buttato via tutto
- Ho bisogno di un goccio.
- Non c'è niente.
- Cosa?
- Ho buttato via tutto.
Michele aprì l'armadio e fissò il vuoto per quasi due ore. Si sentiva sudato dentro.

Tasti
Quando lavorava al computer, Ettore si estraniava. Sua moglie allora si rigirava nel letto ogni volta che lui premeva sui tasti, sperando che la notasse. Tutte le sere il gatto portava a casa un animale morto diverso.

Pioggia
- Piove, disse lui.
Proprio in quell'istante il bambino si mise a piangere e un'anatra dal torrente vicino si alzò in volo.
Lei guardò il bambino come se fosse colpa sua.

Loro non sono spazzini
Ci sono spazzini e spazzini, pensava Ettore. Quelli che vorrebbero essere dirigenti, avere due cellulari, un Suv, e poi quelli come me. La teoria delle stringhe.

Vuoi dirmi che non hai il cappello?
Quel giorno il padre di Francesco partì per andare a pescare carpe e non si fece vedere per dieci anni. Sua madre smise di bere, e l'altro cane morì. Quando tornò disse solo: Avevo dimenticato il cappello. In quel momento Francesco pensò che non aveva capito molto.

Niente
- E poi mi ha detto: faccio il mio lavoro. Vuole farlo lei?
- E tu?
- Niente.
- Bel lavoro di merda, dovevi dirgli.
Michele avrebbe voluto far finta di essere morto, piuttosto.

Càpita
Prima di morire, Robert Louis Stevenson tossì tre volte.


(continua)

venerdì 19 novembre 2010

Fango - Per una tavola dei contenuti associati

di Als



(scarica il podcast)

Fango - Una alluvione in tre dialoghi


-Kevin! Svejate!
-Cossa ghe xé?
-Ghe xé l'acqua che la sta rivando in sala.
-Ostia can. Tira su do cuerte e scapemo via.
-'speta n'atimo che faso una foto.
-A cosa?
-Al paltan in sala.
-Va' in mona ti, il paltan e l'aifòn. Sbrigate.

Terroni del nord, polentoni, baciabanchi, bestemmiatori, partigiani, leghisti, solidali, razzisti, imprenditori, servi.

-Silvano, son qua, ghe xé dani?
-Toni, ziocan, semo rovinai, tuto il magasin xé laga'.
-Diobestia che disastro. Speremo ca i ne manda un po' de schei.
-Ma figurate, semo ciavai. Tocherà inventarse qualcosa. Intanto tote 'na vanga e spala fora.
-Tuto da butar. E 'sti faldoni de contabilità qua? Li tegnemo e li sughemo?
-Fame vedar. No no, trai via.
-Sito sicuro?
-Ma sì, li gavemo quasi tuti informatisa'.

Il sommerso e il nero, le miniere e le concerie, il santo e il repubblicano, la poesia e la sceneggiatura, lo splendido e il contadino, le partite iva e le infrastrutture.


-Stavolta la frana la vien xó.
-Eh, anca se la vien, cossa vuto farghe?
-Gninte. Corare.
-Xelo xà taca' el satelite?
-I ga dito ca ghe vol diese giorni.
-A te ghe voja. Fasemo prima a vardar il colore dell'acqua.
-La xè del color del fango.

Il Veneto bianco, il Veneto rosso, il Veneto verde.

giovedì 18 novembre 2010

Fango - Self titled

di Don Vito Caputo















(per i solutori meno abili: pantani)

Fango - Fango


Un giorno, non specificato,  il signore, quello vero e unico  prese un cumuletto di fango  e guardando nel suo grande specchio del signore,  colse nella sua immagine un qualche cosa di impareggiabile tale che dovesse essere duplicato. E così si duplicò nel fango. Dopodiché, abbastanza soddisfatto del Suo operato (impareggibile a detta dei più), ci alitò su.

Accadde così che si generasse, da una manciata di terra bagnata (del tutto priva anche della minima proprietà termale o terapeutica) e da un soffio di alito (senza dubbio, questo almeno, colmo di Significato), la stirpe umana.

Non c’è da stupirsi particolarmente per l’evoluzione bizzarra che in essa e da essa si dipana.

A mio avviso, che di fango son pregna.

Dalla testa.

Ai piedi.

mercoledì 17 novembre 2010

Fango - La lezione dei coreani (passando per Dante)

















E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.

Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co’ denti a brano a brano.

Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
e anche vo’ che tu per certo credi

che sotto l’acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest’acqua al summo,
come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.

Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidïoso fummo:

or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest’inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra".

Così girammo de la lorda pozza
grand’arco, tra la ripa secca e ’l mézzo,
con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.

Glielo diceva pure Dante che a rodersi il fegato per il federalismo prima o poi finivano nel fango!
VENETI… TAKE IT EASY!  IMPARATE DAI COREANI!!!

http://www.corea.it/fango.htm

Fango - Lo scarico

di Dante Cruciani

Così si muovono gli impiegati, per sfuggire al peggior tabù degli uffici: con frettolosa noncalanza.

Si rinchiudono nei bagni e - se lo sciacquone è a rubinetto, come capita in certe aziende in cui il progresso si è concentrato, piuttosto, nelle forme contrattuali - giù cascate; per coprire, tutto. (Chiazze di umidità sui soffitti, impiegati con strappi muscolari alle spalle). In quei momenti, se capiti nelle vicinanze, puoi bussare  con tutta l'urgenza delle crisi alla porta inchiavardata, chiedendo se è occupato. Nessuno ti risponderà. Non un respiro. Usciranno, come i paguri dalle conchiglie  (una zampa per volta, poi gli occhi), solo dopo aver riguadagnato la sicurezza di non essere riconosciuti, furtivi.

Ma allora, mi chiedevo, perché? perché lasciare aperto lo sciacquone anche in assenza? Lo scròscio asimmetrico, non da zampillo, ma da tubo crepato, che trabocca sulle piastrelle, gonfia i muri, affonda tra i fossili torbidi e si riversa nei fiumi, nel Lambro iridescente, dove pescano certuni le creature che vengono impanate alle mense scolastiche. Per puro pregiudizio, mi ero convinto essere colpevole lo stagista mio pari, di poco più anziano, allontanato dall'ufficio perché scaduto: da quando era arrivato il rimpiazzo, a settembre, non più mi era capitato di ascoltare la disarmonia dello scarico gratuito. E invece.

Era bastata un'alluvione a nordest, ed ecco che il fenomeno, per effetto simpatico, era ripreso. Mi chiedeva conto di questo mistero pure uno degli agenti di commercio, arrivato con gli altri da tutta Italia per la riunione aziendale. Com'è che quando entro al bagno lo scarico è già aperto? chiedeva, disapprovando lo spreco. Alzavo le spalle. Tutta quest'acqua, diceva, e dalle tue parti? Non s'è mica allagato tutto? Sei arrivato a Milano nuotando, questo lunedì? No, rispondevo, no. Dove sto io, non è successo nulla. Da me, aggiungeva un terzo flemmatico, il Brenta ha lambito l'orlo degli argini, eravamo tutti fuori a guardare. Pregavamo la Tensione Superficiale. E tu? chiedevamo al quarto, dalle fattezze tragicamente simili a quelle del cattivo di Batman chiamato il Pinguino, Tu?

Io? Io mi sono alluvionato. Tirate fuori i soldi, mi sono alluvionato tutto.
E si muoveva tra noi - col ghigno e la mano aperta - come si muovono gli autoscontri circondati.

martedì 16 novembre 2010

Fango - Del fango non se ne sa niente

di Austino Attizzo

Fango - Cinque appunti non-buffi non-consecutivi e senza coda a riguardo di recenti avvenimenti, sedimentazione, e vita del Paese (parte 2 di 2)


§3.1
E l'invidia rode i più teneri organi interni già alle sette di mattina, quando sulle banchine delle stazioni de' treni o d'autobus vedi le persone che al telefonino parlano coi partner e dicono con voci attutite di sonno e privacy e affetto e premura e ammiccare cose tipo Sì sarà una giornata infernale ma poi stasera ah sìssì ci facciamo una cenetta e poi guardiamo qualcosa abbracciati sul divano e poi te lo metto-nel-culo eccetera. Qua invece - nella sfera di un ingrato malpagato lavoro d'assistenza archeologica - qua invece alle sette di mattina - od anche un po' prima, se possibile - le telefonate di un ingombrante [fisico, intellettuale, comportamentale] datore di lavoro hanno il tono di Ma non piove: NON-PIO-VE, sono solo due gocce, dai cazzo, certo che andiamo a lavorare; e sai che la giornata sarà una palta appiccicosa d'argille plastiche - in grado di mantenere vitali però grosse, profonde pozze; e ci saranno stivali di gomma che nessuno piede umano è in grado, accidenti, di riscaldare-

§3.2
E pioverà, sì.

§4
P.: “[…] andato a dare una mano a Casalserugo, domenica scorsa. Abbiamo visto subito che c’era l’Eroe; che era uno normale, eh: registrato alla protezione civile, come me – e basta. Però parlava a voce fortissima sempre, e dava ordini anche se non era un cazzo, e sapeva lui tutto cosa fare. […] sì - che adesso nuotano nell’acqua, per carità – però proprio vedi che di solito nuotano nei soldi… ma tanti; cioè, tiri fuori uno scaffale che costerà mille euro, ma poi pensi Questo qui ne prende ventimila al mese, di euro, e ti dici: vabbé… […] dove di solito mettevano dei bancali incastrati precisi in una rientranza del muro – quando siamo arrivati non riuscivano a toglierli, da quanto stretti erano, ché si erano gonfiati per l’acqua […] E a ogni incrocio di strada fuori dalle case, come quello [indica l’incrocio più vicino], c’erano mucchi di roba. Muc-chi. E quanti libri ho buttato via. E fuori da una casa c’era un pianoforte. E mi sa che non era l’unico. […] Ma cosa vuoi farci: il legno-
A: “pensa a quello che vent’anni fa ha comprato il mobiletto di plastégòn da cinquantamila lire, e si diceva: Con questo, sono apposto per l’eternità, e adesso se la ride…” 

§5
Ed è edificante e didatticissimo, e rassicurante - perché facilità una lettura in-qualche-modo definitiva; e magari non è propriamente buffo: ma per gli animi schifati e un po' stanchi e individualisti e sotto-sotto disfattisti comporta comunque coloritura di divertimento - sì, vabbè: nell'ottica che si può avere da un salotto tiepidino all'ora di cena guardando il telegionale, e la pioggia  bén fuori, certo - insomma: è edificante e risuonante e allegorico come alla deriva apparentemente inarrestabile dell'ordine sociale, economico, morale della nazione [sul morale non sono forse sicuro - che via sia mai stato, cioè, un ordine morale, qui] corrisponda questo sbriciolìo fisico, geografico e oggettuale della superficie visibile del paese: queste frane quiescenti che, quiescenti, d'improvviso più non lo sono; i piani stradali traversati da crepe profondissime; i turbinìi d'acque marroni, gli animali intirizziti – e polli stecchiti rosacei a zampe in su-

lunedì 15 novembre 2010

Fango - Cinque appunti non-buffi non-consecutivi e senza coda a riguardo di recenti avvenimenti, sedimentazione, e vita del Paese (parte 1 di 2)

[nota della redazione: inauguriamo con questo pezzo de Il Vostro una nuova rubrica di Sanjuro, Istantanea, nella quale l'intera redazione si misurerà, di volta in volta, in scrittura quasi diretta con eventi e temi  presi dall'attualità. Dalla prossima settimana ricompariranno alcune rubriche di critica già presenti sul precedente sito, e altri testi pensati appositamente per questo nuovo corso sanjuresco. L'Istantanea di questo mese riguarda, e non potrebbe essere stato altrimenti, il fango. Oltre ai commenti, è gradito e candidato alla pubblicazione anche ogni testo vi venisse voglia di mandarci (la nuova mail è sanjuro.blogATgmail.com). Buone letture.]


§1
A Vicenza, poco discosti dal centro. In un cantiere d'archeologi si tagliavano trincee strette e corte nel terreno demolito di fresco: un triangolo edile messo a sperone contro il Bacchiglione; la chiesa a due passi, un capitello alla madonna [pienamente acconcio, in questa città iperdulìaca], un quieto ponticello di mattoni a chiudere la contrà. Tra l'infinita varietà di terricci e tèrre e suoli marroni che le trincee esponevano risaltava a un certo punto - a poca profondità rispetto al piano-di-campagna - una fetta di suolo viola d'un viola intenso e, a seconda della luce del sole, quasi, anche, sbrilluccicante di cristallini; e questo strato viola si disgregava in pepitoni giusto-appena coerenti che poi si sarebbero sbriciolati e, in fine, polverizzati. C'era un laboratorio orafo, qui, ha detto il perito geologo in visita, sono gli scarti della lavorazione dell'oro: è tutto arsenico. Qui in città ce ne sono centinaia, di aree così. Gli abbiamo chiesto, un po' preoccupati, se, cioè-: magari una mascherina, almeno? No no, ha detto lui: se non si alza troppo vento, non c'è problema.

§2.1
Andando a lavoro in non-sospetti tempi pre-alluvione percorrevo westward la SR10 - Ospedaletto, Saletto, Megliadino eccetera - e nonostante tutto l'amore
[eh?]
nonostante l'affetto che posso provare per la mia regione [cfr. poi, in seguito alla catastrofe, come fosse tangibile - nei social forum, nei blog, eccetera - un diffuso disprezzo - fastidio? tedio? - degli italiani altri, nei confronti del Veneto], non potevo fare a meno di osservare - con l'occhio di fine geomorfologo, certo; ma anche con quello a-portata-di-tutti del buonsenso - come Tutto sia costruito in basso, o giù, o dentro, o sotto: l'asfalto sul quale si viaggia più alto, sempre, del resto circostante.

§2.2
Poveri corregionali miei, dilacerati tra’l connaturato e genetico Fàsso tuto mì, e il dover piagnucolare – mostrare i gelosissimi interni di case ‘sassinate dall’acqua, dal fango: scostate, in fine aperte le porte blindate, e scostati i muretti di cinta, i cavalli di frisia… – il dover lamentare, quindi, ché altrimenti denari non usciranno dalle Règie Casse di Nostro Stato dell’Euro Trafitto; e la confusione, in questione etica e coltivata nei decenni: Siamo italiani, Non siamo italiani, Siamo tutti italiani, ma qualcuno è più Italiano di altri? Chi è che lo è, italiano? Ma italiano a chi? A culo l’Italia. Però, i soldi d’Italia. E via dicendo.

§2.3
Where is your àmbito golenale now?

Sanjuro riparte

Dopo un periodo di necessaria, attenta e alcolica riflessione, Sanjuro riparte.
Più fluido, meno schematico. Più leggero, meno rigido. Più sul pezzo, meno sul palinsesto.
Buona lettura a tutti.

(per ulteriori approfondimenti, c'è questa cosa)