martedì 5 luglio 2011

Il Vento del Nord - La velocità dell'aria

di Dante Cruciani

Lo scravascio ha mitigato l’afa e c’è un’arietta... un vento alla finestra che mi dice tra i capelli Vai a letto, sono le due; ma io mi sono incaponito sul computer, come al solito, in quelle inutili faccende di manutenzione del sistema che ti pigliano sempre quando il giorno dopo hai una lunga giornata di lavoro. La batteria si surriscalda e, se la nuca è fresca - dò le spalle alla finestra - la fronte è tutta sgocciolante (Di notte, mentre dormi, i portatili si svegliano e ti rubano il respiro dalla porta usb, come i gatti in certe storie dell’orrore).

C’è una donna che urla - dove? - e piange. Ascolto un po’ i singhiozzi, sicuro che risalgano la strada. Non macchine, non camion della spazzatura con stantuffi, ma gemiti, lo strazio di qualcosa che fa male. Mi affaccio alla finestra e il suono si attutisce. Rientro e lo risento. Appoggio i palmi, spingo la zanzariera - finché un reticolo stretto mi appare sulle mani, rosso - per vedere se magari, forse, c’è qualcuno sotto, a perpendicolo, lungo la parete. Niente. Aspetto. Al piano di sopra, tossisce uno dei bambini.

Dormono. Sono le dieci di sera. Siamo soli in casa; mia sorella - loro madre - è a cena fuori. Il salotto è buio, le nubi impediscono il chiarore delle sere estive; il lucore dello schermo, son sicuro che mi rende il viso di un color di malattia - malattia tropicale, di quelle che affievoliscono e delirano - quando suona il campanello, un suono secco. Se mi irrigidisco, so che passerà. Suona ancora. Corro al citofono, ma è rotto e funziona nel verso di chi è fuori: chi è, dico, chi è. All’orecchio un microfono muto. Spremo i tasti per capire se riesco ad azionarlo, ma ho il dubbio di aver, invece, aperto il portone. È una vecchia casa di ringhiera, col terrazzo sul cortile interno. Sento ridere alla porta, una donna. Dalle liste degli scuri a veneziana, accanto al citofono, intravedo le scarpe marroni di un uomo che corre. L’ascensore vibra.

Giù in strada si rompe una bottiglia; in lontananza un lampo. Mentre la ventola smanetta, giro per la casa con un bicchiere in mano in cerca della parete giusta. Ne tento un paio senza risultati. Allora il pavimento. Apoggio l'orecchio al fondo, ma i rumori che sento sono gli stessi di quando immergo nella vasca da bagno: tonfi, colpi gommosi, nessun pianto. Eppure potrebbe essere una vicina. Il marito la picchia? Oppure ho fatto entrare i ladri, con un goffo colpo di citofono? Forse era fuori a cena, ed è tornata a casa trovandola distrutta. Tutte le cose sparite. I cassetti rovesciati, lei in mezzo alla stanza, con le lenzuola di lino in mano, strappate, in ginocchio; i rubinetti aperti, anche gli avanzi nel frigo, finiti; la serratura della porta scassinata, non si chiude più, c'è tutta una corrente d'aria... Sul pavimento le impronte di una scarpa da uomo, marrone.

Qualcuno la aiuterà, mi dico, con l’orecchio sul bicchiere; arriverà qualcuno...

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