lunedì 11 luglio 2011

Il Vento del Nord - Contromisure

di Lopizia Starna

Stavo nella lana avvolta, quando, dalle scale, scese il gatto di pelo. E quando dico di pelo, intendo veramente DI PELO.
Mi volli informare e chiesi : "Ma quel tuo gatto, è sempre stato così pieno di pelo?"
"No," rispose "È stagionale."
"Ah." raccolsi la spiegazione e, intensa, rimuginai sulla stagionalità del pelo. E questo ragionare mi portò lontano.
Ci si deve premunire, agli eventi, intendo. Quando accade qualcosa o si pensa che stia accadendo devono prendersi le adeguate contromisure. Mi parse allora di non averle prese, le contromisure. Ero impreparata. Cosa che non mi lasciò sgomenta, ma un po’ triste.
Uscii, lasciando gatto di pelo e padrone in salotto, davanti ad un tazza di tè al ginseng. Decisi che qualsiasi azione sarebbe stata meglio di nessuna azione.
Mi tolsi le vesti e abbandonai la calda lana, nuda ballai in giardino, nel retro, dietro la siepe. Pochi gli sguardi (una lucertola, un paio di scarafaggi, quattordici formiche nere e basta. Tutti numeri pari, ma non credo fosse un segno). Fu un atto d’amore per l’azione a venire, per tutte quelle cose che giacevano in me pregne di contenuti ma senza realizzazione.
Poi scrissi righe infuocate al quotidiano cittadino, postai alcuni link su facebook e mi sentii degna. Andai a comprare un paio di scarpe nuove e quattro libri di saggistica sulle condizioni dei contadini in Cina, degli operai in Cina, delle donne senza figlie in Cina e uno sul rapporto tra Cina e India. Una volta a casa guardai tutti i telegiornali di fascia serale a pezzi alternati in preda allo zapping esoterico, eccetto quello di rai uno e rete quattro. Mi sentii nuovamente degna. "Ecco," mi dissi, "lo sento anch’io. È il vento del nord. Partecipo al cambiamento. È come se mi stessi riempiendo di pelo, ecco le contromisure! L’azione! I partigiani… la rivoluzione!!!"
Presi l’agenda e segnai su martedì mattina, ore 9.00: "Prendere appuntamento per una ceretta, gamba intera e inguine." Con tutto questo parlare di pelo mi accorsi che non si trattava solo di una metafora.

n.d.a. la collocazione temporale è fittizia per non dar adito a speculazioni di genere politico

martedì 5 luglio 2011

Il Vento del Nord - La velocità dell'aria

di Dante Cruciani

Lo scravascio ha mitigato l’afa e c’è un’arietta... un vento alla finestra che mi dice tra i capelli Vai a letto, sono le due; ma io mi sono incaponito sul computer, come al solito, in quelle inutili faccende di manutenzione del sistema che ti pigliano sempre quando il giorno dopo hai una lunga giornata di lavoro. La batteria si surriscalda e, se la nuca è fresca - dò le spalle alla finestra - la fronte è tutta sgocciolante (Di notte, mentre dormi, i portatili si svegliano e ti rubano il respiro dalla porta usb, come i gatti in certe storie dell’orrore).

C’è una donna che urla - dove? - e piange. Ascolto un po’ i singhiozzi, sicuro che risalgano la strada. Non macchine, non camion della spazzatura con stantuffi, ma gemiti, lo strazio di qualcosa che fa male. Mi affaccio alla finestra e il suono si attutisce. Rientro e lo risento. Appoggio i palmi, spingo la zanzariera - finché un reticolo stretto mi appare sulle mani, rosso - per vedere se magari, forse, c’è qualcuno sotto, a perpendicolo, lungo la parete. Niente. Aspetto. Al piano di sopra, tossisce uno dei bambini.

Dormono. Sono le dieci di sera. Siamo soli in casa; mia sorella - loro madre - è a cena fuori. Il salotto è buio, le nubi impediscono il chiarore delle sere estive; il lucore dello schermo, son sicuro che mi rende il viso di un color di malattia - malattia tropicale, di quelle che affievoliscono e delirano - quando suona il campanello, un suono secco. Se mi irrigidisco, so che passerà. Suona ancora. Corro al citofono, ma è rotto e funziona nel verso di chi è fuori: chi è, dico, chi è. All’orecchio un microfono muto. Spremo i tasti per capire se riesco ad azionarlo, ma ho il dubbio di aver, invece, aperto il portone. È una vecchia casa di ringhiera, col terrazzo sul cortile interno. Sento ridere alla porta, una donna. Dalle liste degli scuri a veneziana, accanto al citofono, intravedo le scarpe marroni di un uomo che corre. L’ascensore vibra.

Giù in strada si rompe una bottiglia; in lontananza un lampo. Mentre la ventola smanetta, giro per la casa con un bicchiere in mano in cerca della parete giusta. Ne tento un paio senza risultati. Allora il pavimento. Apoggio l'orecchio al fondo, ma i rumori che sento sono gli stessi di quando immergo nella vasca da bagno: tonfi, colpi gommosi, nessun pianto. Eppure potrebbe essere una vicina. Il marito la picchia? Oppure ho fatto entrare i ladri, con un goffo colpo di citofono? Forse era fuori a cena, ed è tornata a casa trovandola distrutta. Tutte le cose sparite. I cassetti rovesciati, lei in mezzo alla stanza, con le lenzuola di lino in mano, strappate, in ginocchio; i rubinetti aperti, anche gli avanzi nel frigo, finiti; la serratura della porta scassinata, non si chiude più, c'è tutta una corrente d'aria... Sul pavimento le impronte di una scarpa da uomo, marrone.

Qualcuno la aiuterà, mi dico, con l’orecchio sul bicchiere; arriverà qualcuno...